Meta chiude con il fact-checking: ora decide la rete
Zuckerberg spegne il sistema di verifica targato esperti e accende le Community Notes. Niente più ‘verità ufficiali’ imposte dall’alto: la verità torna nelle mani del pubblico.
Meta, la società madre di Facebook e Instagram, ha annunciato la fine del suo programma di fact-checking, sostituendolo con un sistema di “Community Notes” ispirato a quello già adottato da X (ex Twitter). La decisione segna una svolta significativa nella gestione dei contenuti online, eliminando la figura dei fact-checker professionisti e dando maggiore responsabilità agli utenti nella segnalazione di informazioni potenzialmente false.
La mossa di Meta appare come una risposta diretta alle critiche sul ruolo del fact-checking, spesso accusato di essere uno strumento di censura più che di garanzia della verità. Per anni, le piattaforme di Zuckerberg hanno collaborato con organizzazioni esterne per verificare la veridicità dei contenuti, un sistema che ha sollevato polemiche sulla sua imparzialità e sull’effettiva capacità di bloccare la disinformazione senza danneggiare la libertà di espressione.
“Troppi errori, troppe polemiche. Il fact-checking si è trasformato in un’arma politica”, ha dichiarato un portavoce di Meta, sintetizzando il clima di sfiducia che si era creato attorno a questo strumento.
Community Notes: la rete giudica se stessa
La nuova strategia di Meta si basa su un principio semplice ma controverso: affidare agli utenti il compito di aggiungere note contestuali ai post che ritengono fuorvianti. Un sistema che promette maggiore trasparenza e partecipazione, ma che solleva dubbi sulla capacità del pubblico di discernere tra fatti e opinioni in modo equilibrato.
Il modello delle Community Notes è già stato sperimentato con discreto successo da X, dove utenti con posizioni differenti possono collaborare per creare note informative che aggiungano contesto ai post controversi. Tuttavia, molti analisti si chiedono se questo approccio sia sufficiente per contrastare la disinformazione su larga scala.
Critiche e reazioni
La decisione ha già scatenato reazioni contrastanti. Da un lato, chi ha sempre criticato il fact-checking professionale come uno strumento elitario e arbitrario ha applaudito l’iniziativa di Meta. Dall’altro, molte organizzazioni che si occupano di verifica delle notizie temono che questo cambiamento possa portare a un aumento esponenziale della disinformazione.
“Abbandonare il fact-checking è come togliere i freni a una macchina lanciata a tutta velocità”, ha commentato un esperto di comunicazione digitale. Al contrario, i sostenitori della libertà di espressione vedono questa mossa come una liberazione dalle ingerenze di chi pretendeva di stabilire cosa fosse vero e cosa falso.
Un colpo ai media tradizionali?
Dietro questa scelta di Meta, alcuni intravedono anche una sfida diretta ai media tradizionali, che per anni hanno esercitato un monopolio di fatto sulla definizione della verità. La fine del fact-checking professionale potrebbe rappresentare una crisi di credibilità per quei giornali e quelle organizzazioni che avevano investito molto nel ruolo di arbitri dell’informazione.
“Non spetterà più a pochi eletti decidere cosa è vero e cosa non lo è”, ha dichiarato un commentatore vicino a Meta. Una frase che riassume bene lo spirito di questa rivoluzione: togliere potere ai presunti detentori della verità e ridarlo al popolo della rete.
Non sfugge però, il segnale politico: strizzare l’occhio a Trump e ai fautori di un web meno regolamentato potrebbe rafforzare l’asse con chi vede nella censura una minaccia alla democrazia. Una partita aperta su scala globale.