La Cina e il cristianesimo: fede sotto controllo statale
13 Ott 2024 - Oriente
Il governo cinese cerca di sfruttare il cristianesimo per rafforzare la coesione sociale e migliorare la sua immagine internazionale, ma le contraddizioni interne restano evidenti.
Il tentativo della Cina di darsi un’anima attraverso la cristianità
Negli ultimi anni, la Cina ha compiuto uno sforzo notevole per ridefinire la propria identità culturale, cercando di “darsi un’anima” attraverso il dialogo con la cristianità. Questo tentativo appare come un modo per integrare valori spirituali in un Paese noto per la sua lunga tradizione di ateismo di stato e per un rigido controllo sulle religioni. Tuttavia, l’interesse della Cina verso il cristianesimo va oltre un semplice fenomeno religioso: rappresenta una parte di una strategia più ampia che coinvolge sia la politica interna che le relazioni internazionali.
Il contesto storico e politico
Dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949, il governo comunista ha mantenuto una posizione di sospetto nei confronti delle religioni, considerate strumenti di potenziale destabilizzazione politica. Il Partito Comunista Cinese (PCC), profondamente legato all’ideologia marxista, ha promosso un modello di ateismo di stato, accompagnato dalla repressione delle fedi religiose. Questo atteggiamento si è concretizzato in anni di persecuzioni, soprattutto durante la Rivoluzione Culturale, quando chiese e luoghi di culto furono chiusi o distrutti.
Tuttavia, con il passare dei decenni, e in particolare sotto la presidenza di Xi Jinping, il rapporto della Cina con la religione è diventato più complesso. La strategia di Xi ha portato alla promozione di una “sinizzazione” delle religioni, con lo scopo di integrare le fedi all’interno del tessuto politico e culturale cinese. In questo quadro, il cristianesimo è diventato una religione di crescente interesse, per il suo impatto storico sulla civilizzazione occidentale e per la crescente influenza che i valori spirituali possono esercitare in un mondo globalizzato.
La cristianità come strumento di controllo culturale
Il cristianesimo, che conta in Cina circa 100 milioni di fedeli tra cattolici e protestanti, è stato visto dal governo come una risorsa da “adattare” ai principi del socialismo cinese. L’obiettivo di Pechino è rendere le chiese cinesi espressioni della cultura nazionale, piuttosto che riflettere modelli religiosi stranieri, percepiti come minacce all’ordine interno.
Un esempio emblematico di questo approccio è l’accordo siglato nel 2018 tra il Vaticano e la Cina, in cui le due parti hanno negoziato la nomina dei vescovi cattolici in Cina. Anche se l’accordo rappresenta un significativo avvicinamento diplomatico, rimane controverso: il governo cinese ha cercato di mantenere un forte controllo sui leader religiosi locali, pur permettendo un certo grado di autonomia alla Chiesa cattolica. Questa apertura controllata riflette la volontà di sfruttare l’influenza culturale della cristianità senza cedere potere politico.
Un’anima per lo sviluppo morale
In un Paese dove la crescita economica ha portato a rapide trasformazioni sociali, la Cina si trova ora di fronte alla sfida di dare un significato morale alla sua ascesa. Il cristianesimo, con i suoi valori universali di giustizia, amore e solidarietà, è visto da alcuni settori del governo come un possibile strumento per migliorare il “soft power” cinese e per rispondere ai bisogni spirituali di una popolazione in rapida urbanizzazione.
Peraltro, l’ascesa della Cina come potenza mondiale non è solo una questione di economia o geopolitica. La Cina è consapevole che il soft power, ovvero l’influenza culturale, gioca un ruolo cruciale per affermarsi come leader globale. In questo contesto, l’interesse verso il cristianesimo è anche parte di una più ampia strategia per proiettare un’immagine di apertura culturale e tolleranza religiosa, pur mantenendo saldamente il controllo politico.
La complessità di un dialogo
Il tentativo della Cina di darsi un’anima attraverso la cristianità è tuttavia pieno di contraddizioni. Da una parte, il governo cerca di sfruttare il potenziale spirituale del cristianesimo per migliorare la coesione sociale e la propria immagine internazionale; dall’altra, continua a reprimere le comunità cristiane non registrate, soprattutto i gruppi protestanti clandestini e le cosiddette “chiese sotterranee”. Le tensioni tra il desiderio di controllo e la necessità di rispondere a una crescente domanda di spiritualità mostrano la delicatezza di questo processo.
Inoltre, il cristianesimo porta con sé valori che, in alcuni casi, possono contrastare con l’ideologia ufficiale del Partito Comunista. Il concetto di libertà religiosa, per esempio, è in contrasto con l’approccio autoritario del governo, che vede la religione come uno strumento da manipolare piuttosto che come un diritto fondamentale.