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Verso le Europee: la transizione ecologica e l’equilibrio tra economia e sostenibilità

7 Lug 2023 - Europa

Verso le Europee: la transizione ecologica e l’equilibrio tra economia e sostenibilità

Bisogna conciliare la sostenibilità ambientale con l’economia e la produzione, non possiamo sacrificare interamente l’aspetto economico in nome della “salvezza” del pianeta. È una salvezza che sembra essere una prerogativa dell’Unione Europea, che procede spedita con le sue direttive green, come ad esempio quelle relative alle abitazioni eco-sostenibili. Ma dall’altra parte del globo, in Cina e in India, l’inquinamento continua a dilagare come se non ci fosse un domani.

Prendiamo in considerazione alcuni dati per comprenderne l’entità. Quando si parla di emissioni globali di CO2, la Cina è al primo posto con oltre il 33% del totale, superando da sola le quattro principali economie mondiali. Gli Stati Uniti rappresentano il 12,5%, l’Europa il 7,3%, l’India il 7% e infine la Russia il 5%. E se consideriamo la produzione di carbone, la Cina detiene il 50% del totale mondiale, seguita da Nuova Delhi al 12%, mentre l’Unione Europea contribuisce solo con il 3% del carbone globale.

Quindi qual è il punto chiave di tutto ciò? È semplice: anche se l’Unione Europea diventasse improvvisamente il paradiso della sostenibilità ambientale, il pianeta non sarebbe ancora salvo (se effettivamente è a rischio, cosa ancora da dimostrare). La grande responsabilità ricade principalmente sulla dittatura comunista cinese, ma anche sulla leadership europea, sempre più convinta di promuovere la causa di Timmermans attraverso direttive rigide, tasse elevate e una spesa pubblica consistente, lasciando poi ai cittadini l’amaro conto finale.

Un rapporto dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili ha recentemente evidenziato che per contenere l’aumento della temperatura a 1,5 gradi entro il 2050, sarà necessario quadruplicare gli investimenti annuali. In altre parole, le ambiziose politiche ecologiste potrebbero costare ben 150mila miliardi di euro. Il viceministro Vannia Gava ha lanciato un allarme, sostenendo che è tempo di smettere di sognare ad occhi aperti e di mettere in atto piani concreti. Secondo Gava, la tutela dell’ambiente e dell’economia devono andare di pari passo.

Per andare ancora più in profondità sulla questione, Gianni Murano ha condiviso le sue opinioni durante l’Assemblea dell’Unem (associazione dei petrolieri italiani). Murano ha dichiarato che il petrolio rimarrà la fonte energetica principale fino al 2030-2035, superata dalle fonti rinnovabili solo intorno al 2040, sebbene si possa raggiungere il picco di domanda nel 2028. Pertanto, i combustibili derivati dal petrolio continueranno a soddisfare circa l’85-90% delle esigenze di trasporto entro il 2040.

In altre parole, nell’immediato futuro l’Europa dovrà ancora fare affidamento sul petrolio per garantire la sua economia. E chi primeggia anche in questo settore? Naturalmente, la Cina. La raffinazione del petrolio si è spostata verso l’Oriente, con la Cina che nel 2022 è diventata il principale paese al mondo per capacità, superando persino gli Stati Uniti. Questo è un vero e proprio assist economico, produttivo e geopolitico fornito al nemico. È come se stessimo consegnando le chiavi di casa a Xi Jinping.

In sintesi, se la corsa verso la transizione ecologica sarà troppo rapida, rischiamo di scuotere le economie europee, favorire la Cina e, paradossalmente, non ottenere alcun impatto significativo sul cambiamento climatico. È una strategia fallimentare, ma Bruxelles l’ha seguita con convinzione negli ultimi cinque anni. Il Green Deal è stato il cuore pulsante della “maggioranza Ursula”, o meglio, della Commissione guidata da Tim

mermans. Questo approccio rischia di ripetersi anche dopo il 2024, a meno di un cambiamento politico significativo. Al momento, ci sono movimenti in corso. Una parte del Partito Popolare sta cercando di spostare l’asse di governo europeo verso il centrodestra, cercando magari un’alleanza con il gruppo dei conservatori guidato da Giorgia Meloni.

Tuttavia, raggiungere un accordo non sarà facile, considerando la presenza di Morawiecki e Vox nel gruppo ECR. E, in termini numerici, al momento potrebbe non essere sufficiente per garantire l’elezione del presidente della Commissione. Sarà necessario allargare le alleanze. Matteo Salvini vorrebbe coinvolgere anche i partiti di Identità e Democrazia, ma il PPE non ha intenzione di allearsi con gli anti-europeisti di Le Pen e AfD, come confermato da Antonio Tajani. Tutto si deciderà dopo le elezioni, naturalmente. I partiti si presenteranno individualmente alle elezioni e solo dopo si decideranno le alleanze e le maggioranze variegate per l’elezione della Commissione europea.

L’ipotesi di un bis di Ursula von der Leyen, sponsorizzato da una parte del PPE, sta prendendo sempre più piede. Tuttavia, se per motivi numerici si dovesse ripetere l’alleanza con il Partito Socialista Europeo, ci troveremmo di nuovo con Timmermans al comando delle decisioni europee. E l’ossessione per l’ambiente potrebbe costarci fino a 150mila miliardi di euro.

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