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A VILNIUS LA NATO C’È

13 Lug 2023 - Approfondimenti Politici

A VILNIUS LA NATO C’È

Vero sconfitto del vertice NATO: Vlodymyr Zelensky

Il vertice NATO di Vilnius sancisce una realtà: il Patto Atlantico è saldo. L’America First di trumpiana memoria, almeno per il momento, è riposta in un cassetto. Gli USA non possono più permettersi una escalation mondiale e gli incontri bilaterali cinesi lasciano intravvedere quella vecchia teoria dei due blocchi, garante di una pace armata per tutto il secondo dopoguerra. Vero sconfitto della due giorni lituana è Vlodymyr Zelensky: voleva che la NATO accogliesse l’Ucraina tra i suoi partner a prescindere dalla fine della guerra, ma ha ottenuto un diniego neanche troppo indolore.

L’Orso Russo

La verità è una sola: gli USA vogliono cronicizzare la guerra, indebolire l’orso russo, ma non portarlo alla resa incondizionata. Una potenza nucleare, con una storia da impero tra le altre cose, non può perdere con disonore. Putin piuttosto svuoterebbe tutto il suo arsenale senza batter ciglio. E se la Russia non deve essere umiliata e l’Ucraina non vuole cedere, lo stallo alla messicana è servito.

Purtroppo su entrambi i fronti si scontrano giovani sacrificati dai rispettivi leader sull’altare della politica: carne da cannone dilaniata da un conflitto ormai degenerato in un carnaio senza fine. Intanto l’Europa torna a giocare un ruolo fondamentale, non per sua scelta, ma per necessità.

E, pur non essendo incisiva, diviene per l’ennesima volta quel terreno fangoso in cui la diplomazia avanza lentamente. Con il futuro ingresso della Svezia, i confini si sono allargati e l’accerchiamento attorno alla madre Russia si fa più asfissiante. Ma Putin è il meglio con cui l’occidente può trattare, seppur la diffidenza reciproca non aiuta.

Con Prigozhin certamente Biden non si sarebbe seduto neanche a prendere un caffè, figurarsi se gli americani hanno pensato, solo per un istante, ad un colpo di stato che passava attraverso la Wagner. In tempi come questi ci si accontenta e si ragiona con chi, a suo modo, ha il senso della misura.

Meloni ed Erdogan

L’Italia, in questo contesto, gioca un ruolo marginale. Giorgia Meloni, con Erdogan, sicuramente avrà parlato del traffico di migranti. I turchi sono presenti anche in Libia e potenzialmente potrebbero aiutare l’Europa nel controllo delle frontiere sia ad est che a sud. Ma Erdogan è un mercante e se concede qualcosa vuole una sua contropartita.

Meloni dovrebbe perorare la causa turca in merito all’ingresso di Ankara nell’UE? Il prezzo francamente sarebbe troppo alto da pagare: i principi democratici verrebbero violentati e i diritti umani andrebbero a farsi benedire. Certo, siamo di bocca buona, ma questo è davvero un boccone amaro.

Le Europee si avvicinano

Intanto al Parlamento Europeo si sondano gli umori. Il Presidente dei Popolari Europei Weber cerca di far staccare il suo partito dai socialisti, i verdi e Renew Europe, tendando di affossare la legge sul ripristino della natura. Non è riuscito il colpaccio perché alcuni suoi compagni di partito gli hanno voltato le spalle.

La posta era alta: Weber ha cercato di ridimensionare anche la Von der Leyen oltre a tranciare l’asse che ha governato l’Europa fino ad oggi. I Conservatori escono sconfitti, ma non amareggiati: il passo più difficile è stato compiuto e in questa fase il vento spira a destra, basta attendere.

Certo Weber vivrà giorni difficili e la sua linea sarà oggetto di molte critiche. Sanchez ha dichiarato che il dossier sulla tutela delle biodiversità sarà al centro dell’agenda del Consiglio: in piena campagna elettorale sfrutterà tutto per ribaltare i pronostici.

Intanto in Italia

La destra italiana intanto arranca e si difende dagli attacchi mediatici disseppellendo il vessillo delle “toghe rosse”. La stessa Meloni pur scaricando con eleganza La Russa e contestando l’incontinenza verbale del Presidente del Senato, sulla giustizia è stata adamantina: avanti tutta! Ed è stato frustrante parlare di scandali giudiziari per la Premier: dopotutto si sta costruendo una credibilità internazionale e le beghe interne la insolentiscono.

E, come se non bastasse, la terza rata del PNRR non arriva e la quarta è oggetto di rinegoziazione con l’Europa. Fitto si deve difendere anche dagli attacchi degli alleati e sembra quasi che non riesca a trovare il bandolo della matassa. Gli obiettivi sono da ricalibrare e, a detta del Ministro pugliese, si sta portando avanti un Piano scritto da altri.

Potrei anche condividere che l’impostazione ideologica non sia la stessa, ma Mario Draghi non è l’ultimo arrivato e certamente non ha reso impraticabile un ruolino di marcia per il semplice piacere di veder traccheggiare l’Italia.

Una cosa è certa: siamo ancora un Paese che guarda al dito e non alla luna. Ma, per volgere lo sguardo oltre lo steccato, dobbiamo avere una classe dirigente all’altezza, opposizione compresa.

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