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Il boomerang dei dazi

7 Apr 2025 - Finanza

Le Borse asiatiche crollano, il petrolio affonda e Wall Street trema: la linea protezionista di Trump sta facendo vacillare l’intera economia globale. E l’Occidente paga il conto.

Il boomerang dei dazi

Il protezionismo che affossa i mercati

L’illusione che i dazi potessero rappresentare una “cura” per l’economia americana sta rapidamente mostrando il suo volto più distruttivo. Le Borse asiatiche hanno vissuto una giornata da incubo, registrando crolli a doppia cifra in alcune piazze chiave, a partire da Hong Kong (-11%), passando per Taipei (-9,7%), Shenzhen (-8,7%) e Tokyo (-6,8%). In forte calo anche Shanghai (-6,5%), Seoul (-5,3%) e Mumbai (-3%).

Un’ondata rossa che ha travolto l’intera regione a causa della posizione intransigente assunta dal presidente Donald Trump in materia di dazi, e ulteriormente aggravata dalle contromisure annunciate venerdì da Pechino, che ha risposto con una nuova tornata di tariffe doganali. Il problema? La reazione cinese è arrivata a mercati già chiusi, facendo schizzare l’incertezza nel weekend e alimentando timori reali di una spirale senza ritorno.

Il panico corre anche sull’energia e i futures USA

Il segnale d’allarme si è esteso anche al mercato petrolifero: il WTI è sceso sotto i 60 dollari al barile, con una perdita del 3,31%. I futures statunitensi preannunciano un’altra seduta di sangue a Wall Street: Dow Jones a -3,56%, S&P 500 a -3,85%.

Questo non è un normale assestamento. È il riflesso di una politica economica miope che rischia di danneggiare l’intera catena del valore occidentale in nome di un ritorno al protezionismo che suona anacronistico.

Trump insiste: “I dazi sono una medicina”… ma per chi?

In un’uscita che ha già fatto discutere, Trump ha paragonato i dazi a “una medicina amara ma necessaria” per l’economia americana. “A volte bisogna prendere farmaci per guarire”, ha dichiarato, evocando una visione quasi terapeutica dell’imposizione di barriere commerciali.

Ma ciò che dovrebbe far riflettere è che il paziente – ovvero il libero mercato occidentale – non sta reagendo bene alla “cura”. Anzi, la terapia rischia di generare metastasi.

Sul suo social Truth, Trump è andato oltre, attaccando il suo predecessore e affermando che il surplus commerciale con la Cina, l’UE e altri paesi “è esploso con il sonnolento Joe Biden” e che “noi lo ribalteremo, e in fretta”. Parole forti, certo, ma la realtà degli indicatori economici dice tutt’altro.

Un bluff che rischia di costare carissimo

Il presidente ha poi ribadito che “i governi stranieri dovranno pagare un sacco di soldi” per eliminare i dazi, e che “vogliono parlare, ma non si parla se non ci pagano annualmente”.

Questa non è negoziazione. È una roulette geopolitica giocata con fiches troppo pesanti: la fiducia dei mercati, la solidità delle catene globali e, soprattutto, il principio della libera impresa.

Per chi, come chi scrive, ha sostenuto Trump nella sua lotta contro l’establishment progressista, questa virata autarchica rappresenta un tradimento strategico. Il vero nemico non è il commercio globale, ma il controllo ideologico dei flussi. E combatterlo con i dazi è come cercare di spegnere un incendio con la benzina.

Serve tornare ai fondamentali: concorrenza leale, apertura dei mercati, difesa degli interessi nazionali attraverso la forza dell’innovazione e non la chiusura commerciale. Perché il vero rischio oggi è che, mentre l’America si chiude, il resto del mondo – e soprattutto la Cina – impari a fare a meno di noi.

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