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La parabola di Olivetti: Dall’eccellenza all’oblio

16 Dic 2024 - Finanza

Dall’innovazione di Adriano alla crisi con De Benedetti: la parabola di Olivetti è il simbolo di un’Italia che sacrifica il futuro industriale per la speculazione finanziaria.

La parabola di Olivetti: Dall’eccellenza all’oblio

L’epopea di Olivetti e il parallelo con Stellantis

L’epopea di Olivetti trova un parallelo inquietante in ciò che sta accadendo oggi al gruppo Stellantis. Anche qui, la logica della speculazione economica e la ricerca di dividendi ricchi per gli azionisti, in particolare per Exor e la famiglia Elkann, stanno mettendo a rischio il futuro industriale e tecnologico del gruppo. La concentrazione su risultati finanziari a breve termine e il trasferimento di risorse strategiche verso paesi con minori costi di produzione minano la capacità dell’Italia di mantenere un ruolo competitivo in settori chiave. Come accadde per Olivetti, le decisioni prese in nome del profitto immediato rischiano di sacrificare un patrimonio industriale di valore inestimabile.

Gli anni d’oro di Adriano Olivetti

La storia dell’Olivetti è una delle più emblematiche nella parabola industriale italiana. Nata nel 1908 a Ivrea, la Olivetti ha rappresentato per decenni un simbolo di innovazione, avanguardia tecnologica e visione sociale. Fondata da Camillo Olivetti, l’azienda si distinse fin dai suoi primi anni per la produzione di macchine per scrivere di alta qualità, ma fu con il figlio Adriano che Olivetti raggiunse l’apice della sua gloria.

Adriano Olivetti, succeduto al padre negli anni ’30, trasformò l’azienda in un modello di sviluppo unico al mondo. La sua visione imprenditoriale coniugava il profitto con una forte responsabilità sociale. Sotto la sua guida, Olivetti non era solo un’industria tecnologica, ma un vero e proprio laboratorio di innovazione sociale. Gli stabilimenti di Ivrea erano famosi per le condizioni di lavoro avanzate, con salari superiori alla media, servizi per i dipendenti come asili e biblioteche, e un’architettura industriale concepita per il benessere delle persone.

Ma l’innovazione più significativa fu nel prodotto. Nel 1959, Olivetti lanciò il primo computer commerciale al mondo, l’ELEA 9003, progettato da un team guidato dal matematico Mario Tchou. Era la prova che un’azienda italiana poteva competere con i giganti tecnologici americani, ponendo le basi per un futuro all’avanguardia.

Il declino dopo Adriano

La morte prematura di Adriano Olivetti nel 1960 segnò l’inizio di un lento declino. La mancanza di una leadership altrettanto visionaria portò a scelte conservative e poco lungimiranti. La gestione successiva si concentrò maggiormente sul settore delle macchine per scrivere e per ufficio, trascurando lo sviluppo delle tecnologie informatiche che avrebbero dominato il mercato nei decenni successivi. Tuttavia, Olivetti mantenne per un periodo una posizione di rilievo nel mercato globale.

L’arrivo di Carlo De Benedetti

La fase più controversa della storia di Olivetti comincia nel 1978, con l’arrivo di Carlo De Benedetti. L’ingresso di De Benedetti fu inizialmente accolto con entusiasmo, poiché il manager piemontese prometteva di rilanciare l’azienda puntando sulla sua capacità innovativa. Tuttavia, la sua gestione si rivelò presto problematica.

De Benedetti avviò una profonda ristrutturazione che tagliò posti di lavoro e ridimensionò il ruolo di Olivetti come azienda tecnologica. Pur riuscendo a rilanciare temporaneamente il settore delle macchine per scrivere elettroniche e dei personal computer con modelli come l’M24, le scelte strategiche furono caratterizzate da una visione a breve termine. L’azienda iniziò a perdere il contatto con le nuove sfide globali, come lo sviluppo di software e sistemi operativi, lasciando campo libero ai concorrenti americani come IBM e Apple.

Inoltre, la gestione finanziaria di De Benedetti suscitò numerose polemiche. Olivetti fu caricata di debiti attraverso una serie di operazioni finanziarie rischiose e poco trasparenti. Invece di investire in ricerca e sviluppo, De Benedetti puntò su acquisizioni e operazioni speculative, portando l’azienda in una spirale di crisi.

La fine di un sogno

Negli anni ’90, Olivetti era ormai un’ombra di sé stessa. Il settore informatico, che avrebbe potuto rappresentare il futuro dell’azienda, fu progressivamente dismesso. Nel 2003, Olivetti fu inglobata in Telecom Italia, ponendo fine a un’avventura industriale che aveva segnato un’epoca.

La distruzione di Olivetti non è solo il risultato di errori gestionali, ma anche di una visione miope del capitalismo italiano, più interessato alla speculazione finanziaria che allo sviluppo industriale. Olivetti aveva tutte le carte in regola per diventare un leader globale nel settore tecnologico, ma fu svenduta e sacrificata sull’altare del profitto a breve termine.

L’eredità di Olivetti

Nonostante la fine, l’eredità di Olivetti rimane viva. Il modello di Adriano Olivetti è ancora oggi un punto di riferimento per chi crede in un’industria capace di coniugare innovazione, bellezza e giustizia sociale. Gli archivi e le testimonianze dell’azienda sono stati riconosciuti dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità, un tributo alla visione di un uomo che sognava un futuro diverso per l’Italia e il mondo.

La storia di Olivetti non è solo il racconto di un fallimento, ma anche un monito. Rappresenta l’urgenza di ripensare il nostro modello economico, privilegiando l’innovazione e la sostenibilità rispetto alla speculazione. Oggi, più che mai, è necessario riscoprire lo spirito di Adriano Olivetti per affrontare le sfide di un mondo in continua trasformazione.

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