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La scuola del danno: il liceo di quattro anni non prepara né al lavoro né alla vita.

26 Feb 2024 - Approfondimenti Politici

La sperimentazione del liceo quadriennale: un viaggio tra ambizioni e criticità nel sistema educativo italiano

La scuola del danno: il liceo di quattro anni non prepara né al lavoro né alla vita.

La sperimentazione del liceo quadriennale

La sperimentazione del liceo quadriennale era iniziata in epoca pre-covid, sotto i buoni auspici di Valeria Fedeli, il ministro con la terza media; è continuata poi con Lucia Azzolina, il ministro dei banchi a rotelle, e con l’anonimo successore, Patrizio Bianchi. Ora Carmela Palumbo, capo del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione, ne annuncia la conclusione, con toni trionfali. Sembra proprio che si sia ottenuta la quadratura del cerchio: le prove invalsi, cui sono stati sottoposti gli alunni di 240 scuole secondarie in tutta Italia, dimostrerebbero che non cambia assolutamente niente: le competenze raggiunte dagli studenti sarebbero le stesse. Come è stato possibile? Tagliando qua e là e allungando gli orari di permanenza in classe. Si direbbe una magia che ci mette alla pari con le scuole degli altri paesi.

Implicazioni per gli studenti

Sì, sicuramente gli studenti finiranno prima, e potranno lavorare prima, ed essere assorbiti prima da un mercato assetato di manodopera a basso costo. Se, nel corso del quadriennio ancora vorranno fare l’esperienza dell’anno all’estero, smetteranno finalmente di essere anni luce al di sopra dei loro coetanei inglesi, americani, canadesi, australiani, francesi, potendo fruire anche loro di un bagaglio di conoscenze leggero, aereo, quasi da Ryan air.

Critiche alla riforma

Sì, perché, di là dai proclami, chi crede che si possa fare in quattro anni ciò che si fa in cinque non ha la minima contezza di che cosa voglia dire insegnare ed apprendere. Chi viceversa conosce le burocrazie ministeriali e i think tank pedagogici, sa benissimo a quale torsione innaturale da anni è sottoposta la scuola italiana nel tentativo di trasformarla da agenzia culturale in strumento di socializzazione e iniziazione alle dinamiche di produzione e consumo.

Il mercato non ha bisogno di cultura

E l’obiettivo è vicino. Tanto che anche Tajani, durante il congresso di Forza Italia di questi giorni si è subito buttato a capofitto in un’innovazione che sa di Europa, di America e di liberalismo. Dove il mercato non ha bisogno di cultura, ma di pedine che si muovano a comando. E dove il sapere fatalmente diventa un privilegio di pochi, quando non uno scarto di lavorazione dell’apparato sociale.

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