L’INFLUENCER LANDINI LICENZIA LA STORIA E LA SINISTRA TACE
13 Set 2023 - Approfondimenti Politici
Che Landini fosse un influencer più che un sindacalista lo si era percepito nel corso degli anni quando, intervistato nei vari talk show, si dimenava nel difendere i lavoratori come un cavaliere senza macchia e senza paura, baluardo della cristianità che falcidiava apostati e infedeli. Il suo abbigliamento parla ad una fetta di popolazione che nella mise percepisce la protervia del padrone. Maglietta della salute sempre in vista, camicia indossata senza cravatta, vestito d’ordinanza sobrio: monocromatico, grigio nell’aspetto, incazzato contro il potere.
Un personaggio da migliaia di like, un politico dei nostri tempi, un indignato all’occorrenza. E giù con “Bella ciao”, bandiere rosse al vento, cappellini nelle piazze e minacce di scioperi generali. La CGIL dei duri e puri, quella aggredita da quattro esagitati fascisti alla Fiore, quella dalla parte degli operai, dei disagiati sociali, degli ultimi. Landini praticamente si è ritagliato il ruolo di front in rappresentanza di uomini e donne repellenti alla propaganda salviniana e meloniana.
Landini non ha bisogno di un addetto stampa, di un professionista della vecchia scuola, di un pezzo di storia di Corso d’Italia che predilige la linea sindacale alle tendenze di Twitter, che ragiona dei diritti e non accetta la dittatura delle interazioni di facebook, che entra nelle questioni e non si affida ad una card con un titolo sparato ed un’immagine filtrata da pubblicare su Instagram. E il buon influencer segretario, quello che il giorno invita la Meloni a congresso e la sera esce con un’intervista in cui critica la Giorgia nazionale, licenzia la storia perché non è più utile all’organizzazione.
E licenzia un uomo figlio della CGIL, giustificando l’imbarazzante scelta con lo strumento normativo simbolo della precarietà del lavoro, effige della vittoria della cinica produzione sulla solidarietà sociale, icona dei neoliberisti e degli avventurieri capitalisti: il tanto vituperato Jobs Act. Il nostro influencer, conscio della volatilità della notizia, dell’effimero mondo dei social, della memoria corta dell’utente/consumatore, avrà pensato di sbarazzarsi del vecchio e di far passare in sordina la notizia: tanto il rincoglionimento generale non conosce confini ideologici ed è una malattia ormai insinuatasi in tutte le menti pensanti, comprese quelle di sinistra.
La CGIL però è altra roba, direbbe uno sconcertato Bersani stranamente taciturno. La CGIL è il sindacato di Di Vittorio, di Lama, di Trentin. La CGIL è il sindacato degli operai davanti ai cancelli di Mirafiori. La CGIL è il sindacato dello Statuto dei Lavoratori, della lotta nelle fabbriche contro le Brigate Rosse, della difesa della democrazia italiana. La CGIL è l’avamposto in terra di mafia, nei territori in cui i latifondisti massacravano i contadini. La CGIL è Portella della Ginestra, è Guido Rossa, è Placido Rizzotto. E un influencer che pensa di essere il segretario della Confederazione Generale Italiana del Lavoro non può permettersi di disfarsi della storia con una raccomandata: ne va della dignità e dell’orgoglio di chi in una sede di un patronato è entrato quando aveva il ciuccio in bocca e giocava a fare il sindacalista.