L’inglese come strumento di dominio contemporaneo: tra colonizzazione culturale e perdita di sovranità
4 Dic 2024 - Approfondimenti Politici
Come la lingua inglese, presentata come veicolo di libertà e opportunità, si rivela uno strumento di controllo globale, erodendo identità culturali e sovranità locali."
Ci hanno sempre detto che l’inglese è la lingua della libertà. Una chiave universale, capace di aprire tutte le porte: dal lavoro alla cultura, dalla scienza al turismo. Ma quanto c’è di autentico in questa narrazione? Pensiamo che imparare l’inglese ci dia più opportunità, che ci renda liberi, ma se fosse l’opposto? Non è solo un mezzo per connettersi: è un veicolo di dominio culturale che influenza profondamente identità e sovranità locali.
Dal latino all’inglese: una storia di potere linguistico
Immagina di vivere nell’Impero romano. Sei un cittadino della Gallia o della Grecia e vuoi fare affari, avere voce in capitolo o partecipare alla vita pubblica? Dovevi parlare latino. Non era solo una lingua: era un biglietto d’ingresso al sistema imperiale, un modo per unificare e controllare i popoli conquistati. Non c’era bisogno di legioni per imporlo: la necessità faceva il lavoro.
Oggi il ruolo del latino è stato ereditato dall’inglese. Non ci sono più eserciti, ma la globalizzazione e il dominio economico fanno il lavoro sporco. Parlarlo bene ti apre porte e opportunità, ma ha un prezzo: ti avvicina a un mondo che ti chiede di conformarti, lasciando indietro parte della tua identità culturale.
Gli anglicismi in Italia: una colonizzazione invisibile
“Smart working”, “deadline”, “feedback”. Quante volte usiamo queste parole al posto delle loro equivalenti italiane? Non è solo una questione di praticità, è una moda. Gli anglicismi stanno colonizzando l’italiano in modo silenzioso ma profondo. Ogni termine adottato non è solo una parola: è un pezzo di cultura che si insinua e si sostituisce alla nostra.
Ma c’è di più: la presenza di una lingua dominante non è solo una questione di influenza culturale, ma un indicatore di sovranità. Quanto meno un paese dipende dall’inglese, tanto più dimostra la capacità di affermare il proprio ruolo unico nel mondo. Non parlare inglese, contrariamente a quanto si pensa, non è arretratezza o ignoranza, ma spesso un segno di autonomia e forza culturale.
La corsa all’inglese: opportunità o obbligo?
Imparare l’inglese è quasi inevitabile. Serve per il lavoro, l’università, la tecnologia. Non è più una scelta, è una necessità. Chi non lo parla è automaticamente escluso da molte opportunità, relegato ai margini di un mondo sempre più uniforme.
Ma questa non è libertà. È un obbligo mascherato, una chiave che apre porte solo a chi può permettersela. E chi stabilisce le regole? I paesi anglofoni, che rafforzano la loro posizione dominante. Questo crea una gerarchia linguistica, dove le lingue locali devono inseguire.
La perdita di sovranità culturale
Parlare inglese non è solo imparare una nuova lingua. È accettare una visione del mondo che non è la nostra. Accettare l’inglese come lingua dominante significa rischiare di relegare l’italiano e altre lingue locali a un ruolo secondario. Questo non è solo un problema linguistico: è una questione di identità e di sovranità.
Un paese che preserva e valorizza la propria lingua dimostra di avere un saldo controllo sulla propria cultura. È una forma di resistenza silenziosa, un modo per dire: “Non siamo semplicemente parte di un sistema globale, siamo unici e abbiamo qualcosa di nostro da offrire”. Più un popolo riesce a evitare l’uso sistematico dell’inglese, più manifesta una forza culturale capace di dialogare senza sottomettersi.
Imparare senza rinunciare: una riflessione aperta
L’inglese è ovunque. È un mezzo per comunicare, per accedere a risorse, per partecipare al mondo. Ma la vera sfida è trovare un equilibrio: imparare questa lingua senza che diventi una sovrastruttura dominante. Parlare inglese non deve significare abbandonare il proprio modo di vedere il mondo o rinunciare alla propria lingua madre.
Ogni lingua racconta una storia, riflette una cultura, un’identità. E l’italiano ha ancora molto da dire, non come un concorrente dell’inglese, ma come una voce distinta in un coro di diversità. La sovranità linguistica non è un muro contro il cambiamento, ma un modo per proteggere ciò che ci rende unici. La vera libertà, forse, è questa: scegliere come usare l’inglese, senza che sia lui a scegliere per noi.