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Trump alza i dazi: 25% sulle auto straniere

27 Mar 2025 - USA

Il presidente rilancia il protezionismo: da aprile tasse su tutte le auto non prodotte in USA. Rischio guerra commerciale con UE, costi in aumento per i consumatori americani.

Trump alza i dazi: 25% sulle auto straniere

Trump annuncia dazi del 25% sulle auto importate: una mossa che rischia di indebolire l’economia americana

“Imporremo dazi del 25% su tutte le auto non prodotte negli Stati Uniti. Se le auto vengono prodotte qui, non ci sono dazi”. Con queste parole, il presidente Donald Trump ha ufficializzato un provvedimento che entrerà in vigore il prossimo 2 aprile e che rischia di segnare una svolta in senso protezionistico per l’economia americana.

La misura, presentata come il primo passo verso una “liberazione economica” dell’America, ha l’intento dichiarato di riportare posti di lavoro nel settore automobilistico e rilanciare la manifattura interna. Secondo le stime fornite dallo stesso presidente, l’introito previsto da questa operazione oscillerebbe tra i 600 miliardi e 1 trilione di dollari nel giro di due anni.

Ma dietro a queste cifre roboanti si cela una strategia economica che, sotto la patina del patriottismo industriale, rischia di tradursi in un boomerang per l’economia americana e per i cittadini stessi.

I dazi come tassa nascosta sui consumatori

Chi conosce i principi dell’economia liberale sa bene che i dazi non sono altro che tasse indirette. A pagarli non sono i produttori stranieri, ma i consumatori americani, che si troveranno ad affrontare un aumento dei prezzi su una vasta gamma di veicoli, anche prodotti da aziende con impianti negli Stati Uniti ma con catene di fornitura globali.

Trump ha affermato che “se alcune parti sono prodotte in America e un’auto no, quelle parti non saranno tassate”, ma in un’industria integrata come quella automobilistica, ogni barriera doganale ha un impatto a cascata. L’industria automobilistica moderna non conosce confini rigidi: una singola automobile può contenere componenti provenienti da dieci o più paesi.

Pensare di isolare l’America da questa rete produttiva equivale a complicare la logistica, aumentare i costi e rallentare l’innovazione.

Rischio ritorsioni e guerra commerciale

La reazione dell’Unione Europea è stata netta: Ursula von der Leyen ha parlato apertamente di “profondo rammarico” per la decisione americana, annunciando l’intenzione di proteggere le aziende e i lavoratori europei. Il rischio concreto è che l’UE e altri partner commerciali – Canada, Giappone, Corea del Sud – rispondano con controdazi, colpendo prodotti agricoli, tecnologici e industriali americani.

È il classico meccanismo della spirale protezionista: una nazione alza i muri doganali, e le altre rispondono. A pagare sono le imprese, che vedono restringersi i mercati, e i consumatori, che subiscono un aumento generalizzato dei prezzi.

In un’economia già segnata da inflazione e incertezze globali, imboccare la via del nazionalismo economico rischia di minare la fiducia degli investitori e rallentare la crescita.

Contraddizioni nel messaggio economico

Trump ha sottolineato che molte case automobilistiche straniere “hanno già costruito impianti negli Stati Uniti” e che “saranno in grado di espandere l’attività senza costi aggiuntivi”. Ma se questo è vero, allora perché la necessità di imporre dazi così pesanti?

Il mercato americano ha già dimostrato di saper attrarre investimenti esteri senza bisogno di minacce tariffarie. Honda, Toyota, BMW e Volkswagen producono da anni milioni di veicoli negli USA, offrendo decine di migliaia di posti di lavoro.

Inoltre, l’idea di “premiare” chi già produce in America e “punire” chi esporta ignora le dinamiche di concorrenza e qualità: i consumatori vogliono scelta, innovazione, efficienza. Imbrigliare il mercato con dazi e vincoli rischia di danneggiare proprio le imprese che Trump intende difendere.

Un conservatorismo economico in antitesi con il libero mercato

Da un punto di vista conservatore e liberale, l’imposizione di barriere commerciali rappresenta una pericolosa deviazione dai valori fondanti dell’economia americana: competizione aperta, libertà di scelta e responsabilità individuale.

Il protezionismo non ha mai fatto grande un paese. L’America è diventata leader mondiale grazie alla sua apertura, alla sua capacità di attrarre investimenti e alla sua fiducia nell’impresa privata.

I dazi annunciati oggi da Trump possono forse raccogliere applausi nel breve termine, ma nel lungo periodo rischiano di isolarci, impoverirci e rallentare il progresso tecnologico.

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